La norma di comportamento n. 229 dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili offre chiarimenti importanti sul trattamento fiscale delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate in società italiane da parte di soggetti esteri. Tali operazioni, secondo il diritto interno italiano, sono imponibili nel nostro Paese nei casi in cui manchi una convenzione contro le doppie imposizioni oppure laddove tale convenzione preveda una tassazione concorrente tra il Paese di residenza del cedente e quello della società partecipata.
È proprio questo lo scenario analizzato dalla norma in questione, che ne dettaglia le implicazioni. In particolare, viene precisato che quando il soggetto estero dispone di una stabile organizzazione in Italia, si applica il principio di omnicomprensività del reddito d’impresa: tutti i redditi conseguiti, incluse le plusvalenze, ricadono in tale categoria e, se ricorrono i requisiti previsti dall’articolo 87 del Tuir, beneficiano del regime Pex, con esclusione da imposizione del 95% dell’importo.
Diversamente, se il soggetto estero non ha una stabile organizzazione in Italia, le plusvalenze mantengono la qualificazione di “redditi diversi”. Tuttavia, qualora siano soddisfatte le condizioni previste dall’articolo 68, comma 2-bis, del Tuir, anche tali plusvalenze qualificate sono assoggettate a tassazione solo sul 5% del loro ammontare, con aliquota del 26%.
Spostandosi sul piano internazionale, la disciplina cambia in presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni conforme al modello OCSE, la quale di norma esclude la potestà impositiva del Paese della società partecipata, prevalendo così sul diritto interno. In mancanza di un trattato, o se la convenzione consente la tassazione concorrente, entra in gioco il principio di libera circolazione dei capitali sancito dall’articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TfUE).
In questi casi, il regime Pex deve essere garantito anche a soggetti residenti in Stati extra-UE che abbiano in essere un accordo con l’Italia sullo scambio di informazioni, sia esso un trattato contro le doppie imposizioni o un’intesa specifica. In tal modo si esclude l’applicazione della clausola di standstill dell’articolo 64 TfUE e si impediscono restrizioni ulteriori rispetto a quanto consentito dall’articolo 65 del medesimo Trattato.
L’interpretazione proposta dall’AIDC assume rilevanza anche in caso di eventuale disconoscimento, da parte dell’Amministrazione finanziaria, delle tutele previste dal trattato, con la conseguente pretesa di tassazione in Italia della plusvalenza, come ipotizzato ad esempio nella circolare n. 6 del 2016.