La sentenza n. 2629/2024 della Corte di Cassazione stabilisce la legittimità di una clausola statutaria in una società per azioni, che, ai sensi dell’art. 2437 comma 4 del Codice Civile, preveda, oltre alle cause di recesso legali, la possibilità per i soci di recedere ad nutum, ossia a loro insindacabile giudizio, con un preavviso di almeno 180 giorni.
Il richiamato articolo afferma che lo statuto delle spa che non ricorrono al mercato del capitale di rischio “può prevedere ulteriori cause di recesso”, senza specificare che tali cause debbano essere singole o mirate esclusivamente a proteggere il dissenso dei soci. La clausola statutaria può legittimamente tutelare altre ragioni, come la divergenza di interessi tra i soci.
La decisione della suprema corte conferma che, nonostante il recesso per giusta causa ponga l’accento sulla tutela del socio dissenziente rispetto a decisioni specifiche, il recesso ad nutum non coinvolge necessariamente il rapporto fiduciario e può derivare da valutazioni diverse sulle prospettive imprenditoriali. La Cassazione suggerisce che questa ricostruzione supera il potenziale rischio di depatrimonializzazione della società insito nel recesso del socio, poiché il meccanismo complessivamente disegnato dal codice garantisce, all’esito dell’esercizio del diritto di recesso, che la società pervenga solo come extrema ratio alla riduzione del capitale sociale, quando si siano inutilmente sperimentate le opzioni alternative.
In conclusione, la sentenza sottolinea che le scelte statutarie possono rifinire l’equilibrio tra le esigenze della società e la preservazione del capitale sociale. Ad esempio, la durata del preavviso di 180 giorni potrebbe essere estesa a un anno, o potrebbe essere introdotto un termine iniziale di preclusione per l’esercizio del diritto di recesso, analogamente a quanto previsto per le società a tempo indeterminato dall’art. 2328 comma 2 n. 13 del Codice Civile.