Cessione d’azienda effettiva e atto fraudolento

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte punisce due comportamenti alternativi: da un lato, la simulazione di alienazioni; dall’altro, la realizzazione di atti fraudolenti sui propri o sugli altrui beni, con l’obiettivo di eludere il pagamento di imposte su redditi o IVA, interessi e sanzioni superiori a 50.000 euro. Entrambi i comportamenti devono essere idonei a rendere inefficace, in tutto o in parte, la procedura di riscossione coattiva.

Un’alienazione si definisce simulata quando viene creata volutamente una situazione giuridica che non corrisponde alla reale volontà delle parti, sia in toto (simulazione assoluta) che in parte (simulazione relativa). Tuttavia, se il trasferimento è effettivo, esso non costituisce atto simulato, ma può essere valutato come atto fraudolento, qualora rappresenti una realtà distorta o non veritiera.

Gli atti dispositivi con carattere fraudolento si distinguono per l’uso di artifici, inganni o menzogne volti a creare l’apparenza di una riduzione patrimoniale fittizia. Tali condotte rendono più complesso o mettono a rischio il buon esito della procedura di riscossione coattiva.

La giurisprudenza ha spesso riconosciuto il reato anche nei casi in cui il trasferimento del bene sia reale e non simulato. Lo conferma, ad esempio, la sentenza n. 40308 della Cassazione, depositata il 4 novembre scorso. Il caso analizzato riguardava una cessione parziale di un contratto di affitto di azienda, formalmente effettiva ma strutturata in modo fraudolento per compromettere le garanzie patrimoniali dovute all’Erario.

Nel caso trattato, una società con un debito IVA residuo di oltre 500.000 euro aveva subito il sequestro conservativo dei crediti maturati e maturandi, nonché dei saldi attivi sui conti correnti bancari, fino alla concorrenza del debito, da parte dell’Agenzia delle Entrate. A fronte di ciò, la società costituiva una nuova entità giuridica con medesima sede, oggetto sociale e partecipazione totalitaria. A seguire, le due società stipulavano un contratto di affitto parziale di azienda, trasferendo alla nuova società parte dei contratti di appalto in corso di esecuzione, ma escludendo i debiti erariali. Questa operazione impediva all’Agenzia delle Entrate di rivalersi direttamente sulla nuova società.

La natura fraudolenta dello schema emergeva da diversi fattori:

  • la nuova società non aveva dipendenti né risorse proprie, ma si avvaleva di personale e materiali della società cedente;
  • il prezzo di cessione, palesemente irrisorio, garantiva un immediato vantaggio alla cedente, che preservava parte del suo patrimonio dall’azione esecutiva.

Secondo i giudici della Corte di Cassazione, per questo reato è richiesto il dolo specifico, ovvero la volontà di sottrarsi al pagamento delle imposte, degli interessi o delle sanzioni collegate. Questo dolo può coesistere con altre finalità, non essendo necessario che l’intento di eludere i debiti fiscali sia esclusivo.

Nel caso analizzato, i giudici hanno sottolineato la chiara consapevolezza del legale rappresentante della società cedente riguardo alla grave esposizione debitoria. Tale consapevolezza era dimostrata dal fatto che, al momento dell’operazione, l’Agenzia delle Entrate aveva già ottenuto un provvedimento di sequestro conservativo.

 

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