Divieto del patto leonino e opzione put

La Cassazione, con l’ordinanza n. 27283 depositata lo scorso 22 ottobre, ha chiarito ancora una volta il concetto di patto parasociale e le caratteristiche del patto leonino, vietato dal nostro ordinamento, confermando che la cosiddetta opzione put non rientra in questa fattispecie.

La Suprema Corte ha richiamato la definizione di patto parasociale fornita nella precedente sentenza n. 22375/2023, inteso come un accordo tra più soggetti – soci di una società o anche soggetti esterni – volto a disciplinare il comportamento da seguire nella gestione della società o nell’esercizio dei diritti associati alle partecipazioni. La Cassazione sottolinea come il patto parasociale sia distinto dal contratto sociale e dallo statuto, con una validità ormai riconosciuta dal legislatore. L’art. 2341-bis c.c. ammette infatti la possibilità di stipulare patti parasociali per stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società, purché la durata di tali patti non superi i cinque anni, salvo rinnovo. In particolare, tali patti sono validi se:

  • regolano l’esercizio del diritto di voto in una società per azioni o in società che la controllano;
  • limitano la cessione delle azioni o delle partecipazioni;
  • mirano a esercitare un’influenza dominante sulla società, anche congiuntamente.

La Cassazione sottolinea che i patti parasociali sono considerati validi, purché non violino i principi fondamentali del diritto societario. Su questo punto si inserisce il divieto di patto leonino stabilito dall’art. 2265 c.c., il quale sancisce la nullità di ogni patto che escluda uno o più soci dalla partecipazione agli utili o alle perdite della società.

La nullità di tali patti deriva dal fine stesso della società: generare e distribuire utili tra i soci. Non è dunque consentito che un socio non riceva alcun utile o che sia del tutto esonerato dai rischi d’impresa.

La Corte specifica, inoltre, che un patto leonino si configura solo quando l’esclusione del socio dagli utili o dalle perdite è:

  • totale, comportando una completa alterazione della causa societaria;
  • costante, introducendo una modifica irreversibile dei diritti patrimoniali del socio.

In conclusione, è fondamentale valutare se l’accordo persegua interessi meritevoli di tutela.

La Cassazione chiarisce che l’opzione put, ovvero il diritto di rivendere una partecipazione a un prezzo stabilito, può rientrare tra i patti parasociali leciti quando mira a stabilizzare la partecipazione di uno degli stipulanti. Tale accordo è considerato valido perché è finalizzato alla tutela di legittimi interessi imprenditoriali. In modo analogo, è legittima la clausola che, come nel caso in esame, non costituisce una garanzia “assoluta e costante” di redditività per il beneficiario dell’opzione, ma una tutela condizionata al mantenimento della partecipazione per un determinato periodo di tempo, inserita in un contratto di permuta.

La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di:

  • confermare che clausole che prevedono una partecipazione non proporzionale agli utili o alle perdite non violano il divieto di patto leonino dell’art. 2265 c.c. (cfr. Cass. n. 642/2000);
  • superare precedenti orientamenti che consideravano violazione del divieto del patto leonino nelle put option che consentivano la cessione della partecipazione allo stesso prezzo di acquisto (cfr. Cass. n. 17498/2018).

 

 

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