Il Tribunale di Venezia, con la sentenza del 12 giugno 2024, ha stabilito che anche una società eterodiretta può essere ritenuta corresponsabile dei danni subiti da un’altra società del gruppo a causa della condotta illecita di direzione e coordinamento da parte della holding, nel caso in cui ne abbia tratto beneficio consapevolmente, ai sensi dell’art. 2497, comma 2, del Codice Civile.
Secondo tale disposizione, è corresponsabile insieme a chi ha abusato dell’attività di direzione e coordinamento anche chi ha preso parte al fatto lesivo o, entro i limiti del vantaggio conseguito, chi ne ha tratto consapevole beneficio. Nel caso specifico, si tratta di un gruppo di imprese che vede al vertice una holding di fatto, gestita dai membri di una famiglia, che avevano ruoli anche nelle due società eterodirette, Alfa srl e Beta srl, entrambe con il medesimo oggetto sociale.
La holding, abusando della sua funzione di direzione e coordinamento, ha portato Alfa srl al fallimento a vantaggio della Beta srl e della stessa holding, principalmente attraverso una cessione occulta dell’azienda da Alfa srl a Beta srl.
A seguito del fallimento di Alfa srl, il curatore ha richiesto e ottenuto anche il fallimento della holding di fatto per il credito risarcitorio vantato in ragione della sua attività abusiva. Non avendo ottenuto alcun recupero da questa, la curatela di Alfa srl ha poi agito contro Beta srl e ha ottenuto un risarcimento significativo, fissato in misura pari al valore dell’avviamento dell’azienda ceduta occultamente attraverso la parcellizzazione delle cessioni dei singoli beni.
Per giungere a questa decisione, i giudici hanno fatto alcune precisazioni fondamentali. Hanno ribadito che l’azione esercitata dai creditori sociali della società eterodiretta fallita, rappresentati dal curatore di Alfa srl in virtù dell’art. 2497, comma 4, del Codice Civile, è di natura extracontrattuale. In questo caso, il “danno” per i creditori consiste nel non essere stati pagati a causa della lesione arrecata al patrimonio della società debitrice da parte della capogruppo. Si tratta quindi di un danno indiretto che riflette il pregiudizio subito dalla società fallita.
Inoltre, i giudici hanno affermato che, quando una società eterodiretta viene dichiarata fallita, la sua insolvenza è di per sé indice sufficiente per dimostrare l’insufficienza dell’attivo a coprire i debiti verso i creditori. Questa situazione esonera il curatore dal dimostrare di aver preventivamente escusso il patrimonio della società eterodiretta, come richiesto dall’art. 2497, comma 3, del Codice Civile.
Per quanto riguarda la holding, essa può essere considerata una società di persone di fatto, costituita da due o più individui con l’obiettivo di esercitare una direzione unitaria sulle società figlie. Questa configurazione implica la possibilità di essere soggetta a fallimento, sia che la sua attività si limiti alla gestione del gruppo, sia che comprenda anche attività ausiliarie o finanziarie (Cass. n. 5520/2017). In questo contesto, le società del gruppo devono essere destinate a perseguire un unico scopo economico, distinto da quello individuale di ciascuna.
La prova dell’esistenza di una holding di fatto può emergere da diversi indicatori: identità parziale delle compagini sociali e delle sedi delle società eterodirette, la presenza dei soci della holding nelle società figlie con ruoli gestionali, l’identità dell’oggetto sociale, e l’esistenza di rapporti infragruppo come cessioni di rami aziendali, finanziamenti o trasferimenti di flussi di denaro.
Infine, riguardo alla corresponsabilità di Beta srl per aver consapevolmente tratto beneficio dall’illecita attività di direzione e coordinamento della holding, e in particolare dalla cessione occulta dell’azienda di Alfa srl, i giudici hanno evidenziato come tale vantaggio fosse evidente, essendo Beta srl amministrata congiuntamente dai soci della holding stessa.